Non è necessario
Il male necessario dell’informazione, cioè tutto quel dovere di cronaca che porta a comportamenti da parte dei giornalisti che a me, ma non solo a me, sembrano abbastanza orribili
In questo pezzo, Luca Sofri parla del male necessario dell’informazione, cioè tutto quel dovere di cronaca che porta a comportamenti da parte dei giornalisti che a me, ma non solo a me, sembrano abbastanza orribili.
il “prezioso ruolo dell’informazione” è spesso un alibi per difendere quella che è solo una routine quotidiana di strafogamento di notizie a cui concorrono lettori e giornali, e che impone di infilare microfoni nelle portiere, fare domande cretine, disperare persone già disperate. Senza nessuna buona ragione, se non la comprensibile legittimazione di una professione, di un ruolo, di una curiosità umana, che con la funzione di servizio pubblico del giornalismo non ha niente a che fare.
Io vivo in Svizzera. Il giornalismo in Svizzera è diverso rispetto all’Italia, qualcuno potrebbe pensare che sia migliore, qualcuno che sia peggiore; dipende dai punti di vista. Il mio è che sia indubbiamente migliore. Alla voce identificazione, il codice deontologico del Consiglio svizzero della stampa scrive che
La menzione dei nomi e/o l’identificazione della persona è lecita:
– se, in rapporto all’oggetto del servizio, la persona appare in pubblico o acconsente in altro modo alla pubblicazione;
– se la persona è comunemente nota all’opinione pubblica e il servizio si riferisce a tale sua condizione;
– se riveste una carica politica oppure una funzione dirigente nello Stato o nella società, e il servizio si riferisce a tale sua condizione;
– se la menzione del nome è necessaria per evitare un equivoco pregiudizievole a terzi;
– se la menzione del nome o l’identificazione è in altro modo giustificata da un interesse pubblico prevalente.
Se l’interesse alla protezione della sfera privata delle persone prevale sull’interesse del pubblico all’identificazione, il giornalista rinuncia alla pubblicazione dei nomi e di altre indicazioni che la consentano a estranei o a persone non appartenenti alla famiglia o al loro ambiente sociale o professionale, e ne verrebbero pertanto informati solo dai media.
Concretamente questo significa per esempio che nel 90% dei casi non sappiamo mai il nome di una persona a processo, nemmeno se risulta poi colpevole. Nei fatti di cronaca, l’identificazione dei soggetti praticamente non esiste. Non ci sono interviste ai familiari, non ci sono foto prese da Facebook, non ci sono vite in diretta. Per molti italiani questo potrebbe sembrare un inferno nel quale la popolazione è tenuta all’oscuro, per me è una questione di civiltà. Sapere i nomi, conoscere i volti, sentire gli strazi dei familiari non serve a niente: non aggiunge niente alla formazione delle mie idee e della mia visione del mondo, è semplicemente voyeurismo. Per molti questo rasenta la censura, per me è sinonimo di buon giornalismo e di buona civiltà.