Per un mondo migliore
La realtà è una faccenda complicata, con miliardi di miliardi di miliardi di variabili; cercare di risolverla con un set di idee prestabilito è un vizio semplicistico che fallisce sempre.
Due anni fa sono andato in un ritiro meditativo in un monastero buddhista theravāda qui in Svizzera: il Dhammapala, nel bellissimo scenario del paese di Kandersteg. È stata un'esperienza davvero arricchente e un'uscita dalla mia comfort zone molto potente. Oltre a essere stata un'esperienza molto bella e istruttiva, ho avuto l'occasione di conoscere gente molto interessante. I monaci del Dhammapala in primis, persone che starei ad ascoltare per ore e ore ininterrottamente. Parlando anche con alcuni miei compagni di ritiro, mi sono fatto l'idea che fossero belle persone. Soprattutto tedeschi, di varie età e vari percorsi di vita; tutti però accomunati dall'essere lì e in quel momento a condividere un'esperienza.
Mentre in un'occasione ci stavamo rilassando bevendo una tazza di tè e parlando del più e del meno, una signora tedesca, commentando lo stato attuale dell'umanità, ha esclamato che se tutto il mondo fosse buddhista, le cose andrebbero decisamente meglio; ci sarebbe la pace, le persone non soffrirebbero per le guerre e l'ambiente sarebbe considerato. Io e il mio compagno di stanza, un simpatico trentenne tedesco, abbiamo quindi replicato che, insomma, ecco, no, decisamente no. Guardando i paesi a maggioranza buddhista o con forte presenza buddhista, non ne esce un quadro propriamente da paradiso terrestre. Certo, ci sono posti che non sono messi male, ma se guardiamo per esempio ai posti con la maggioranza della popolazione che segue il buddhismo theravāda (quello del monastero di cui sopra e il mio preferito), cioè nel Sud Est Asiatico, la situazione è abbastanza desolante. Oltre alla povertà diffusa, abbiamo: Tailandia (dove la volontà popolare alle elezioni è sempre disattese), Myanmar (governo dittatoriale da decenni e guerra civile in corso), Laos e Cambogia (governi non propriamente democratici), e Sri Lanka (terribile situazione economica e penultimo presidente scappato dal paese).
Non esiste una religione che porti automaticamente a condizioni di vita migliori. Non esiste nessuna idea, in realtà, che di per sé porti automaticamente al paradiso terrestre. La realtà è una faccenda complicata, con miliardi di miliardi di miliardi di variabili; cercare di risolverla con un set di idee prestabilito è un vizio semplicistico che fallisce sempre. Gli insegnamenti di amore, pace, solidarietà e empatia che ogni religione porta con sé sono sempre una faccia della medaglia; l'altra è l'odio per chi non fa parte del gruppo dei credenti e la volontà di imporre una unica visione al gruppo in questione. A dirla tutta quindi, la maggior parte delle volte le religioni complicano ulteriormente l'esistenza e l'interazione tra le persone; la storia umana strabocca di esempi, dall'antichità fino ai giorni nostri. Le religioni, lungi dal portare pace e amore, sono molto spesso veicolo di violenza e di odio, soprattutto se sconfinano nel campo dello stato. Noi diciamo sconfinano perché siamo nati e cresciuti nel liberalismo che, come scrivevo nel post precedente, si è sviluppato proprio per finirla con le guerre di religione. Dobbiamo però tenere a mente che in moltissime parti del mondo non c'è nessun sconfinamento ma la religione è il naturale proseguimento dello stato, e viceversa.
Volenti o nolenti, le religioni sono parte della nostra realtà mondiale. Per quanto mi riguarda, penso che propagare l'ideale liberale della religione come aspetto personale dell'individuo sia l'unica via per provare a convivere in modo migliore Non è una religione (qualunque essa sia) la via per migliorare l'umanità, ma si inizia con la nostra volontà di vedere nell'altro un nostro simile, nelle nostre reciproche differenze. La realtà, ripeto, è complicatissima; le soluzioni semplici sono spesso pericolose.